TI RICONOSCEREI TRA MILLE!

STORIE DI RICONOSCIMENTO INDIVIDUALE NEL CAVALLO

L’uomo comincia ad interessarsi all’identità degli individui della sua stessa specie durante l’infanzia. Già dai 6-10 mesi d’età i bambini riescono a riconoscere alcuni stimoli visivi o uditivi come appartenenti alla specie umana. Negli animali saper riconoscere i membri del proprio gruppo è la forma più raffinata di categorizzazione degli altri e va di pari passo con l’evoluzione di tutti i comportamenti sociali. I gruppi sociali infatti, sono organizzati come grandi famiglie che cooperano per scopi comuni; in questa prospettiva sapere chi appartiene al proprio gruppo può fornire una serie di vantaggi. Dimostrare la capacità di riconoscere un individuo da un altro si basa sul paradigma per cui (i) la discriminazione deve avvenire, per l’appunto a livello individuale (tu non solo appartieni al mio stesso gruppo, sei proprio l’individuo Tal dei Tali); ma soprattutto  una sorta di sovrapposizione dovrebbe verificarsi tra l’informazione appena ottenuta sull’ individuo (la voce, una foto, un odore) e ciò che è stato precedentemente immagazzinato nella memoria riguardo quello stesso individuo (ii). Basti pensare a quanto spesso si associa un profumo ad una persona; nel momento in cui  si percepisce lo stimolo olfattivo (profumo) probabilmente perché quella persona si trova nella nostra stessa stanza, questa immagine certa si sovrappone contemporaneamente a quella in cui nei nostri ricordi, quella persona profumava allo stesso modo.

La sfida per il mondo scientifico è quella di capire se e quali animali siano capaci di unire tra loro, una volta percepite, tutte le informazioni possibili riguardanti un proprio simile (siano esse vocalizzazioni, odori, immagini) per creare una rappresentazione specifica dello stesso e riconoscerne l’identità tra tanti. A prescindere dal canale utilizzato per produrre/recepire l’informazione (uditivo, visivo, olfattivo e così via) è possibile unire i pezzi del puzzle per ottenere un’unica, inconfondibile immagine di un individuo specifico. Questa capacità viene definita cross-modale, poiché le modalità di produzione e percezione degli stimoli vengono tra di loro incrociate. Della serie: “parla”, fatti vedere, fatti annusare.. e (in qualche modo) ti dirò chi sei!

Nel 2009 Proops, McKomb e Reby hanno dimostrato che in particolare un animale, il cavallo, è capace di riconoscere i propri simili utilizzando appunto un processo cross-modale. Non era la prima volta che si sentiva parlare di riconoscimento individuale nella comunità scientifica, d’altronde solo tre anni prima (nel 2006) Ghazanfar e Schroeder avevano ipotizzato che la natura stessa della neocorteccia cerebrale (presente in tutti i mammmiferi) fosse multi-sensoriale, cioè capace di registrare e utilizzare gli stimoli usando tutti i sensi a disposizione. Questa originale prospettiva sembrerebbe conferire a tutti i mammiferi la suddetta capacità di riconoscimento cross-modale. Nell’esperimento di Proops e colleghi, ad un cavallo A veniva fatto vedere un compagno B del suo stesso gruppo sociale (stimolo visivo) che, non molto lontano da lui (potenziale stimolo olfattivo), scompariva poco dopo al di là di una struttura. Dopo un breve intervallo (10 secondi) venivano riprodotti due tipi di vocalizzazioni (stimolo uditivo):

  1. una proveniente dal cavallo B (congruenza tra stimolo visivo e stimolo uditivo)
  2. una proveniente dal cavallo C, anch’esso appartenente al gruppo ma con una diversa identità (incongruenza tra stimolo visivo e stimolo uditivo) (Immagine 1).
Immagine 1. Descrizione dell’esperimento di Proops e colleghi nel 2009.

Secondo il processo cross-modale, nel cavallo A una volta percepito lo stimolo visivo riguardante il cavallo B,  dovrebbe attivarsi una sorta di rappresentazione multi-modale di B già immagazzinata nella memoria di A, il quale “si aspetta” conseguentemente uno stimolo uditivo congruente allo stimolo visivo e dunque appartenente a B. Nei casi in cui lo stimolo uditivo non era quello congruente (perché appartenente al cavallo C) il cavallo A, trovava violata la sua aspettativa. La violazione dell’aspettativa dei cavalli testati veniva valutata dagli autori in termini di tempo di risposta alla vocalizzazione, più veloci nei casi di non congruenza; inoltre i cavalli tendevano a guardare più a lungo nella direzione di provenienza del suono quando lo stimolo uditivo non era quello che si aspettavano. Per la prima volta quindi veniva proposto un parallelismo tra l’animale domestico e l’uomo nel campo del riconoscimento individuale, mostrando come alcuni animali non umani siano capaci di creare rappresentazioni del mondo sociale a cui appartengono.

Da un certo punto di vista per gli animali domestici come il cavallo, l’uomo rappresenta un partner sociale significativo e con  cui spesso si ha addirittura più a che fare, rispetto ai propri simili. Potrebbe essere quindi vantaggioso stringere un buon rapporto con i membri di altre specie e di conseguenza, sviluppare l’abilità di riconoscerli. La storia condivisa dell’uomo e del cavallo, di pari passo al processo di domesticazione, fornisce una base perfetta per lo studio del riconoscimento cross-modale etero-specifico, ovvero che si verifica tra due specie diverse.

Nel 2012 sono stati pubblicati due lavori sull’argomento, uno dagli stessi Proops e McKomb ed un altro da Lampe e Andre. Il disegno sperimentale di Proops e McKomb per il riconoscimento cavallo-uomo assomigliava molto a quello utilizzato dagli stessi autori per la dimostrazione del riconoscimento cavallo-cavallo: gli animali in questo caso avrebbero dovuto saper utilizzare lo stimolo uditivo (voce registrata) congruente allo stimolo visivo (le persone si trovavano davanti a loro) per discriminare una persona a loro familiare da una a loro sconosciuta. I soggetti testati guardavano più velocemente, più a lungo e più spesso alla persona loro familiare quando ne avevano appena sentito la voce, rispetto a quando sentivano la voce registrata di una persona a loro sconosciuta (Immagine 2).

Immagine 2. Disegno sperimentale utilizzato da Proops e McKomb nel 2012.

Dunque i cavalli erano capaci di associare la voce familiare con la persona familiare, ma non accoppiavano la voce sconosciuta alla persona sconosciuta. L’abbinamento della persona conosciuta con la sua voce (congruenza), non riflette una preferenza spontanea a guardare verso la persona familiare, ma indica piuttosto un’associazione cross-modale tra lo stimolo uditivo e quello visivo. Inoltre i cavalli si sono dimostrati capaci di abbinare una specifica voce familiare con una specifica persona familiare. Questo indica che la vista di quella particolare persona conosciuta ha attivato la memoria multimodale riguardante quell’individuo, permettendo così al cavallo di collegare l’immagine al suono.

Ancor più simile a quello di Proops e colleghi (2009) è il disegno sperimentale di Lampe e Andre: il cavallo veniva approcciato (stimolo visivo) e toccato (stimolo olfattivo) per circa un minuto da una persona a lui familiare/non familiare, la quale poco dopo scompariva dietro una struttura. Da lì veniva successivamente riprodotta una registrazione vocale congruente alla persona appena vista o incongruente ad essa (stimolo uditivo). I risultati sono stati i seguenti:

  • i cavalli rispondevano allo stimolo visivo/olfattivo e uditivo incongruente con maggiore curiosità rispetto ai congruenti, guardando più velocemente, più spesso e più a lungo nella direzione dello stimolo uditivo incongruente;
  • se la voce apparteneva ad uno sconosciuto i cavalli avevano una diversa aspettativa dopo aver appena visto e annusato una persona conosciuta (cioè si aspettavano congruenza tra ciò che avevano appena visto e ciò che avrebbero udito) e stranamente mostravano più interesse quando sentivano la voce familiare dopo aver visto e annusato uno sconosciuto che era scomparso nella direzione da cui lo stimolo uditivo aveva avuto origine.

Nonostante la variabilità degli approcci e dell’interpretazione dei risultati, da questi lavori emerge chiaramente che la familiarità con individui di una specie diversa dalla propria permette di processare le informazioni sull’identità degli stessi tramite un procedimento identico a quello che si utilizza con i propri simili. Questo suggerirebbe che il riconoscimento individuale cross-modale di cui sono capaci i cavalli è altamente plastico e può adattarsi alla decodificazione dell’identità di individui morfologicamente diversi dai cavalli stessi; è come se questi animali applicassero una formula per capire chi hanno davanti, sia esso uomo o cavallo.

Queste ricerche, insieme ad altre, permettono di esplorare le radici della peculiare relazione che può crearsi tra cavallo e cavaliere, la quale non è una banale collaborazione tra specie bensì un consapevole rapporto uno a uno.

 

Chiara Scopa

BIOLOGA ED ETOLOGA

Bibliografia:

  • Proops, L., McComb, K. & Reby, D. 2009. Cross-modal individual recognition in domestic horses (Equus caballus). PNAS Proceedings of the National Academy of Sciences 106: 947–951.
  • Ghazanfar, A. A. & Schroeder, C. E. 2006. Is neocortex essentially multisensory? Trends in Cognitive Sciences 10(6): 278–285.
  • Proops, L. & McComb, K. 2012. Cross-modal individual recognition in domestic horses (Equus caballus) extends to familiar humans. Proceedings of the Royal Society B 279: 3131-3138.
  • Lampe, J. F. & Andre, J. 2012. Cross-modal recognition of human individuals in domestic horses (Equus caballus). Animal Cognition 15: 623–630.

PROBLEMI FISICI E PROBLEMI COMPORTAMENTALI

Uno degli aspetti più importanti da non sottovalutare è l’integrità fisica del cavallo che abbiamo in lavoro.

Qualsiasi piccolo dolore può portare l’animale a manifestare certe rigidità o atteggiamenti sbagliati agli occhi del cavaliere.

Così nel rifiuto di saltare un ostacolo da parte del cavallo ci possono essere molte cause, tra le quali un problema fisico che è quello che dobbiamo ricercare per poi andare a risolvere il problema.

Un cavallo che non vuole stare fermo al momento della salita in sella può avere il problema di un forte mal di schiena al quale il povero animale tenta di sottrarsi al momento della pressione maggiore.

Questo è uno dei tanti esempi in cui dare una punizione è la cosa che dimostra la più radicata ignoranza del cavaliere.

Ci sono molti casi di cavalli che mostrano comportamenti strani (paure improvvise, difese, rifiuti, etc etc) che il più delle volte vengono sottovalutati o addirittura non presi in considerazione, che possono derivare da problemi neurologici, che magari arrivano a portare rigidità e mettere il cavallo contro nell’eseguire certi esercizi.

E’ per questo motivo che il nostro centro di addestramento si avvale della supervisione della Dott. Claudia Del Taglia, medico veterinario ippiatra, interessata alla neurologia e ai problemi neurologici centrali e spinali del cavallo.

“Molte persone guardano ma pochi vedono.” Monty Roberts

Marco Pagliai

AFFINARE LE SENSAZIONI

Ogni momento che passiamo a cavallo dovrebbe servire non tanto per imparare uno stile estetico impeccabile, ma quanto ad affinare certe sensazioni ed abilità che il buon cavaliere possiede.

E’ inutile un ottimo stile di monta se non è supportato da una “sensibilità equestre” capace di tirare fuori il meglio da ogni cavallo.

Esistono moltissimi aiuti nati per aiutare il cavaliere nell’esecuzione impeccabile degli esercizi, che oggi sono entrati a far parte del comune corredo da equitazione, quasi come elementi di abbigliamento, senza pensare all’importanza di saperne fare a meno.

L’abilità più difficile da apprendere è invece fatta dalla sensibilità e dalla comprensione di come “chiedere” al cavallo. Uno stile bello a vedersi ma troppo rigido porta naturale rigidità anche al cavallo. L’elasticità, fluidità e tempestività negli aiuti fanno veramente la differenza tra un cavaliere ed un ottimo cavaliere. La risposta ad un aiuto deve essere così radicata che un cavallo ci si attenga vincendo l’istinto naturale alla fuga anche di fronte a situazioni di allerta.

Il cavallo, per ogni domanda, ha bisogno di una risposta immediata (max 3 sec, ma 3 decimi di sec è meglio) per poter comprendere quello che vogliamo. Ad esempio alla pressione della gamba il cavallo risponderà con fare un passo in avanti, subito dopo la pressione andrà tolta dando una risposta positiva. Non è difficile trovare cavalli con la cute dei fianchi inspessita dal continuo contatto degli speroni del cavaliere.

“Il rinforzo primario più importante è il rilascio di pressione.” Monty Roberts

“Lo sperone è una conquista per il cavaliere che ha dimostrato di saperne fare a meno” Francesco Vedani

Il processo di rafforzamento negativo è tra i più usati nel mondo dell’equitazione. Così uno stimolo spiacevole (evitativo) viene applicato fin quando l’animale non ha il comportamento desiderato. La ricompensa è data proprio dal rilascio della pressione e dalla sospensione dello stimolo spiacevole. Così, come agli speroni, anche la risposta all’imboccatura avviene nella stessa maniera. Se viene applicata una pressione sull’ imboccatura con la redine sinistra il cavallo girerà la testa verso quel lato per alleviare la pressione.

Se il cavallo è addestrato correttamente la pressione sull’imboccatura viene applicata solamente quando serve. In questo modo il cavallo impara a girare con una lievissima pressione essendo stati ricompensati i meccanismi evitativi allo scopo di impiegarli per controllarlo.
L’uso improprio delle imboccature viene assimilato ad una punizione, riducendo l’apprendimento e favorendo comportamenti alternativi (cavallo che si impenna, cavallo “duro in bocca”, etc etc).

“La mano non deve essere così severa da limitare il cavallo e metterlo a disagio, nè cosi rilassata che il cavallo non la sente nemmeno. Nell’istante in cui il cavallo obbedisce e risponde alla mano, gli si devono cedere la redini. Si elimina così la tensione e lo si alleggerisce in bocca, a conferma del principio, che non va mai dimenticato, che il cavallo deve essere sempre premiato e accarezzato quando esegue correttamente quanto gli è stato richiesto. Non appena il cavaliere sente che il cavallo sta assumendo la giusta posizione della testa, e sta venendo in mano, leggero e senza opporre resistenza, non dovrà fare niente che possa riuscirgli spiacevole, ma solo parlargli dolcemente, lasciarlo riposare e fare tutto il possibile per tenerlo rilassato. Questo darà fiducia al cavallo, preparandolo ad una intesa sempre più profonda con il suo cavaliere.” Senofonte 400 a.c.

Un altro aspetto molto importante è che il cavallo in natura mangia continuamente erba, che è un alimento a basso contenuto energetico. Deve pascolare per circa 16 ore al giorno per incamerare energia sufficiente per la sua sopravvivenza. Pertanto i cavalli sono animali molto attenti a sprecare le energie che richiedano così tanto tempo per essere incamerate. Si capisce così che il riposo è un rinforzo naturale molto molto importante.

“Il cavallo supererà fossati, li salterà di nuovo è farà qualsiasi altra cosa, purché lo si lodi e gli si riconosca il giusto riposo dopo il conseguimento delle sue imprese.” Senofonte 400 a.c.

Marco Pagliai

DESENSIBILIZZAZIONE PROGRESSIVA

Questa tecnica di addestramento utilizzata da Monty Roberts consiste nel curare le fobie del cavallo attraverso una esposizione graduale alla sua paura. E’ molto importante rinforzare ogni poco il cavallo per farlo rimanere calmo. Lo stimolo (telo di plastica, tosatrice elettrica, etc etc) deve essere avvicinato al cavallo non arrivando mai a creare in lui una tale tensione da non permettere apprendimento.

Il cavallo non viene bloccato e lo stimolo viene applicato fin tanto che il cavallo reagisce; quando il cavallo si rilassa, lo stimolo viene rimosso.

Nell’ equitazione tradizionale un altro modo per abituare il cavallo agli stimoli è l’inondazione. Questo metodo, a differenza della desensibilizzazione, consiste nel bloccare l’animale in modo che non possa scappare ed applicare lo stimolo ripetutamente fin tanto che il cavallo smette di reagire.

Il problema di questo metodo è che si nega l’opzione della fuga al cavallo.

La gran differenza tra l’inondazione e la desensibilizzazione progressiva è il rilascio di pressione.

“Negare la possibilità di scelta ad un cavallo significa minacciare la sua sopravvivenza. Questo, non solo è pericoloso ma aumenta il suo livello di adrenalina che non agevola certo il suo apprendimento.” Monty Roberts

L’ ABITUDINARIETA’

Partendo sempre col concetto che le punizioni fisiche non danno mai buoni risultati, il loro uso ripetuto può ridurre sempre più la loro efficacia.

L’insorgenza di terrore, paura e attenzione esagerata, se vengano manifestati ripetutamente, portano ad affievolire la risposta.
Questo fenomeno si chiama ABITUDINARIETA, una forma semplice si apprendimento che avvolte troviamo in cavalli considerati stupidi e soprattutto ostinati.

Una punizione che non ha avuto effetto nel cavallo che mostrerà il solito problema, viene resa leggermente più forte portando solamente il cavallo ad abituarsi ad essa.

Il risultato finale sarà che l’addestratore dovrà impiegare punizioni sempre più severe fino a renderle inaccettabili.

Così molti cavalli trovano un brutto destino dato, non dalla loro ostinatezza, ma dalla sbagliata concezione della punizione da parte del loro addestratore.

Ogni rapporto basato sulla paura e sulle punizioni, potrà anche portare al risultato, ma non sarà il migliore. Il desiderio di eccellere non può che nascere dalla propria volontà, da una motivazione interiore e personale.

Marco Pagliai

ADDESTRAMENTO COME AZIONE NATURALE

Abbiamo già iniziato a trattare la nostra idea di addestramento nella sezione Rieducazione comportamentale, parlando di alcuni tra i più comuni problemi quali l’ incomprensione uomo-cavallo, e la errata applicazione degli aiuti.

Sappiamo quanto possa essere dannoso quando la paura prende il sopravvento sulla fiducia, in quanto ricorrere alla forza fisica e a punizioni per far valere la propria autorità induce solamente a creare tensione nel cavallo, farlo diventare aggressivo e rifiutarsi di comprendere la richiesta dell’addestratore.

Tutta questa confusione si riduce o scompare quando il cavallo è portato a vedere il suo addestratore come un compagno più anziano.

Attraverso vari metodi di comunicazione è possibile instaurare con i cavalli un rapporto di fiducia e rispetto diventando membri di un branco formato da due elementi.

Il cavallo, essendo un animale più portato alla coesione sociale che alla dominanza, tende facilmente ad atteggiamenti di esplorazione e alla aggregazione. Un ottimo addestramento dovrebbe riuscire a trasferire fiducia nell’ addestratore tale da farlo diventare come un suo conspecifico. Così quando si troverà di fronte ad una minaccia, l’animale cercherà sicurezza presso l’addestratore piuttosto che prendere la fuga.

Non dobbiamo pretendere il rispetto del cavallo ma dobbiamo conquistarlo dimostrandoli equità e chiarezza di intenti.

“I migliori addestratori si riconoscono da movimenti sobri e deliberati, dalla pazienza e dalla semplicità del loro equipaggiamento.” A.F. Fraser

Un buon addestramento facilita inoltre un ampia gamma di comportamenti innati.

Nell’addestramento avanzato, come il Dressage, il cavallo imita le azioni naturali, ad esempio il Passage (trotto rilevato in cui sembra che il cavallo danzi da una diagonale all’altra) ed il Piaffe (la stessa azione compiuta sul posto), simulano l’azione di avvicinamento dello stallone attratto dalla femmina.
Il movimento trasversale, chiamato Appoggiata (diagonale rapido e laterale in cui il cavallo incrocia glia arti esterni su quelli interni), è utilizzato dal cavallo allo stato libero per aumentare il suo spazio personale o lanciare un avvertimento.

Se riusciamo a far si che il nostro cavallo impari ad imparare e si diverta a farlo la cosa giusta sarà resa facile e quella sbagliata difficile.

Non è importante il tempo impiegato per ottenere un buon addestramento ma la prontezza con cui il cavallo accetta l’addestratore ed il compito che gli viene presentato.

Così facendo cavallo e addestratore diventano una squadra.

Marco Pagliai

RIEDUCAZIONE CAVALLI CON PROBLEMI COMPORTAMENTALI

Se solo riuscissimo a capire cosa significa “essere cavallo” potremmo capire che i suoi problemi derivano dall’ addomesticamento, dal nostro tipo di approccio nelle più svariate situazioni e dalle aspettative che riponiamo nei suoi confronti.

Non dobbiamo mai dimenticare che le nostre due specie sono, non solo molto differenti, ma hanno spesso anche differenti priorità.

La maggior parte dei problemi comportamentali dei cavalli sono creati dall’uomo, dalla non conoscenza delle loro priorità.

“Se volete conoscere i problemi del vostro cavallo, guardatevi allo specchio”. Monty Roberts

Nell’ addestramento che implica l’eliminazione di un comportamento indesiderato la risposta dell’addestratore deve realizzarsi a brevissima distanza (centesimi di secondo) dal momento in cui si è manifestato il comportamento negativo, in modo tale che avvenga l’associazione del comportamento sbagliato alla risposta.

Per questo motivo, molte volte il ritardare, anche se di poco, la risposta provoca un effetto totalmente contrario da quello cercato. In questo modo il cavallo vedrà la risposta come un evento completamente indipendente dal suo comportamento sbagliato, non comprendendone la motivazione.

Proprio per questo motivo l’uso della nostra voce come risposta ad un comportamento giusto o sbagliato, è di fondamentale aiuto essendo proprio la risposta più veloce che si possa dare.

Molto spesso, i normali aiuti usati (frustino e speroni), vengono utilizzati con tempistiche sbagliate causando l’insorgenza di incomprensione che si traduce in stress, paure, nervosismo etc etc.

“Quando i cavalieri danno eccessivi aiuti è spesso perché agiscono con gli aiuti troppo tardi invece che al momento giusto”. Nuno Oliveira

 Marco Pagliai

ADDESTRAMENTO CAVALLI CON METODO ETOLOGICO

Molto spesso il cavallo, prima perché visto come una risorsa poi per diffusa ignoranza, è stato sottovalutato come animale dotato di propria intelligenza, personalità e sensibilità, soprattutto sottovalutando il suo particolare linguaggio. Se pensiamo che circa l’80 % delle persone che lavorano con i cavalli li reputano animali stupidi, ci rendiamo conto quanto ancora siamo lontani dalla loro comprensione.


Purtroppo è stato sempre facile dare per scontato che i cavalli fossero animali poco intelligenti senza pensare che la comunicazione tra uomo e cavallo è qualcosa di complesso che non può seguire canoni umani e non può esistere senza la conoscenza di quel linguaggio che l’uomo non ha cercato di capire e che per questo non conosce.

Allora la domanda è:
Perché abbiamo sempre dato per scontato che il cavallo fosse un animale stupido?

Se la risposta fosse perché non capiva il nostro linguaggio allora dovremmo chiederci:

Perché non siamo stati in grado di capire il linguaggio del cavallo?
La risposta è che siamo stati stupidi. Siamo stati stupidi a pensare che l’addestramento del cavallo potesse fondare le proprie radici su azioni troppo spesso di forza, costrittive e dolorose, piuttosto che sforzarsi di pensare che di fronte a noi ci fosse un animale dotato di un grande sistema comunicativo, basato su regole ancestrali, istintive e cognitive, capace di esprimersi, di apprendere con estrema facilità.

L’addestramento dei cavalli dovrebbe fondare le proprie basi sulla conoscenza dei metodi comunicativi naturali, la reattività e la vera natura di questi animali, e permetterci, attraverso questa comunicazione, di sviluppare le naturali attitudini alla esplorazione, alla coesione, alla socializzazione del cavallo fino ad instaurare una fiducia che, senza elementi di disturbo come la paura e il timore, conduca ad una crescita di questo rapporto.

Con la violenza infatti non si può ottenere apprendimento, ma solo paura. E con la paura non si sviluppano crescite costruttive.
Troppo spesso la costrizione viene sostituita alla comunicazione per semplicità e perché questo animale generoso spesso ci concede anche questo incassando senza capire il perché.

“La brutalità comincia dove finisce la conoscenza. Ignoranza e costrizione appaiono simultaneamente.” Charles De Knuffy

Ci vuole un addestratore molto sicuro di se per riuscire a controllarsi in situazioni in cui altri punirebbero l’animale.

La maggiore reattività, sensibilità e necessità di compagnia del cavallo lo rendono, tra tutti gli animali domestici, più incline a legarsi al suo addestratore. Ma ciò lo rende al tempo stesso, anche più soggetto a grandi crudeltà.

Marco Pagliai

ETOLOGIA, COMPORTAMENTO ED APPRENDIMENTO

ETOLOGIA è la scienza che studia il comportamento degli animali. Il Comportamento è la porzione più esterna del fenotipo. Con il termine fenotipo (dal greco phainein, che significa “apparire”, e týpos, che significa “impronta”) si intende l’insieme di tutte le caratteristiche osservabili di un organismo vivente, quindi la sua morfologia, il suo sviluppo, le sue proprietà biochimiche e fisiologiche comprensive del comportamento. Questo termine viene utilizzato in associazione al termine genotipo, dove per genotipo si intende la costituzione genetica di un individuo o di un organismo vivente. Perciò il fenotipo è la risultante del genotipo (individuo con il proprio corredo genetico) e della sua iterazione nell’ ambiente dove vive. Così come ogni specie possiede strutture organiche e sistemi fisiologici adatti alla sua sopravvivenza nell’ ambiente in cui vive, così essa è anche dotata di specifici moduli comportamentali, il cui significato adattativo può rivelarsi a pieno solo nell’ ambiente naturale in cui la specie stessa s’è adattata.

Il COMPORTAMENTO è l’insieme delle reazioni manifeste dall’ individuo in risposta agli stimoli ambientali. Il comportamento può essere innato (memoria di specie o ISTINTO) o appreso, cioè legato all’ esperienza individuale e alle capacità di immagazzinare le informazioni e quindi modulare ed adeguare i comportamenti (memoria individuale). Nel cavallo un comportamento innato è per esempio la fuga. Essendo infatti un erbivoro e quindi un animale predato, il cavallo avrà per istinto quello di scappare di fronte ad un pericolo imminente, per esempio un rumore improvviso. Questo comportamento è considerato vantaggioso per il cavallo, perché è la sua arma contro i predatori e per questo motivo, vi si è adattato col tempo facendolo diventare un comportamento preformato. Tale strategia non sarà sempre vantaggiosa, anche se derivata dall’ evoluzione, e subirà ulteriori cambiamenti nel tempo. Attraverso il comportamento appreso invece, il cavallo imparerà nuove strategie e potrà considerare vantaggioso un altro tipo di comportamento.
Se il lavoro dell’addestratore è stato fatto tenendo in considerazione la comunicazione e l’etologia del cavallo, il binomio avrà raggiunto una “sintonia di branco” ed il cavallo potrà affidarsi completamente a lui come per esempio ad un capo branco. Il cavallo avrà così appreso che la fiducia verso l’addestratore è un comportamento vantaggioso. Nel caso specifico, supponiamo che il cavallo sia vicino al suo addestratore al momento del rumore improvviso, in questo caso egli troverà vantaggioso stargli vicino anziché fuggire.
Si può parlare di APPRENDIMENTO quando si assiste ad un cambiamento del comportamento risultante dall’ esperienza. Per apprendimento si intende infatti il processo mediante il quale un animale acquisisce informazioni relative al mondo esterno.

APPRENDIMENTO = CAMBIAMENTO RISULTANTE DALL’ ESPERIENZA

Parlando di esperienze che permettono l’apprendimento di nuovi comportamenti va considerato che non sempre tali esperienze “migliorano” le risposte comportamentali.
Esiste infatti la possibilità che il cavallo possa apprendere strategie sulla base di errori di comunicazione da parte dell’uomo e quindi avere dei comportamenti anomali o privi di giustificazioni ai nostri occhi. Tali comportamenti poi, potranno essere memorizzati e profondamente radicati nel comportamento del soggetto perché in qualche modo saranno riusciti ad entrare nei circuiti della memoria a lungo termine, per esempio a causa di una ripetizione dello stesso errore senza cognizione di causa da parte dell’uomo. Tutte queste esperienze che chiamiamo “sbagliate” avranno così contribuito alla creazione di comportamenti problematici che potranno incidere negativamente sulla relazione del cavallo con l’uomo fino anche sulle performance atletiche del soggetto. Anche l’ambiente potrà avere lo stesso potere di cambiamento, in quanto come abbiamo visto è proprio l’ambiente a determinare il fenotipo. Probabilmente l’ambiente rappresenta il maggiore cambiamento al quale l’uomo abbia sottoposto il cavallo in funzione dell’addomesticamento. L’addomesticamento prevede infatti il cambio del normale ambiente di vita di questo animale che si ritrova, da vivere libero ed in branco, a vivere confinato in spazi spesso molto piccoli (3×3 metri misura di un box medio) e in solitudine. Il cambio nel comportamento equino associato alla limitazione ed al confinamento merita particolari considerazioni. Dalla prospettiva del cavallo, in modo in cui esso è scuderizzato può compromettere l’alimentazione, il comportamento sociale e cinetico e determinare un abbassamento del livello di salute. In linea generale si possono stabilire 5 Libertà che possono servirci come un mezzo per giudicare la misura in cui le esigenze degli animali domestici e in cattività sono soddisfatte dagli uomini.

  • Libertà dalla sete, dalla fame e dalla malnutrizione
    • Garantendo accesso ad acqua fresca e una dieta mirata al mantenimento della piena salute e vigore fisico
  • Libertà da scomodità fisiche e termiche
    • Provvedendo ad un ambiente idoneo incluso un riparo e una area per il riposo
  • Libertà da dolore, lesioni e malattie
    • Attraverso la prevenzione o rapide diagnosi e cure
  • Libertà di esprimere più modelli di comportamenti naturali
    • Provvedendo a spazio sufficiente, strutture adeguate e la compagnia di animali della stessa specie
  • Libertà dalla paura e dalle angosce
    • Assicurando condizioni che evitino sofferenze mentali

Marco Pagliai