VEDO, SENTO, ANNUSO, TOCCO E ASSAGGIO, QUINDI SONO… CAVALLO

Per il cavallo la parola “vista”, “udito”, “olfatto”, “tatto” e “gusto” non hanno lo stesso significato che per noi.

Pertanto, il primo passo per comprendere appieno il comportamento, la psicologia e le necessità etologiche del cavallo è imparare come lui percepisce il mondo che lo circonda, come reagisce agli stimoli e come utilizza i suoi sensi. Solo così possiamo iniziare a comprendere veramente il suo punto di vista e avvicinarci a una comunicazione più autentica e rispettosa.

LA VISTA

Nell’ambiente equestre si sentono molte “leggende”, spesso fantasiose, su come e cosa vedono i cavalli, scaturite da credenze popolari e derivate da un approccio poco scientifico (però tutti noi, quando abbiamo un problema alla vista, andiamo dal medico oculista e non dal mago). Non di rado queste “leggende” non sono corrette e ci portano a compiere degli errori di valutazione sul perché il cavallo si comporti in una certa maniera.

L’occhio del cavallo è, in dimensioni assolute, il più grande fra tutti i mammiferi terrestri e questo dato anatomico ci dice che fa molto affidamento sulle informazioni visive che provengono dall’ambiente. Questa caratteristica trova una precisa ragione nella vita in natura, perché è una preda e ha necessità di una buona visione a distanza e di un ampio campo visivo per perlustrare, in maniera semplice e rapida, il territorio che lo circonda e valutare l’eventuale presenza di un pericolo, senza dover muovere molto la testa. In effetti, la conformazione anatomica e la posizione degli occhi del cavallo rispondono perfettamente a questa esigenza.

Il campo visivo

Come per altre specie predate (bovini, caprioli, galline e al tri animali) il cavallo ha gli occhi posti lateralmente nella parte alta della testa. Questa posizione anatomica gli permette una visione panoramica sia di fronte che su entrambi i lati del suo corpo. Ciascun occhio ha un campo visivo, prevalentemente laterale, di circa 180-190 gradi e, dalla sovrapposizione dei due campi visivi, si forma un’area cieca, diretta verso la parte posteriore, piuttosto limitata (circa 50-60 gradi), che corrisponde in pratica al corpo del cavallo. Avrete notato che certe volte, per un’iniezione o altra manualità, si mette una mano a coppa sull’angolo esterno dell’occhio. Così facendo s’impedisce al cavallo di vedere cosa succede al suo fianco e questo può tranquillizzarlo in quanto, non vedendo cosa succede, non è motivato a eseguire comportamenti di anticipazione. Questo, però, vuol dire anche che, mentre stringiamo il sottopancia o lo spazzoliamo, anche se tiene la testa diretta in avanti e in asse col proprio corpo, è in grado di vedere cosa stiamo facendo. Un aspetto pratico, molto importante di quest’area cieca, risiede nella necessità che ha il cavallo di alzare e girare leggermente la testa immediatamente prima di calciare. Se non lo fa, non può vedere cosa sta calciando. Questo comportamento è uno dei tanti che può aiutarci a capire cosa gli passa per la testa. Se, per esempio, stiamo toelettando la coda e lui rimane tranquillo con la testa abbassata senza girarla, è probabile che ciò che stiamo facendo non gli crei nessun disturbo; se al contrario ogni tanto alza la testa, la gira leggermente, anche restando fermo col corpo, è probabile che stia cercando di vedere (e perciò capire) cosa succede dietro di lui; insomma, esiste la possibilità che stia “prendendo le misure”.

Torniamo agli occhi del nostro cavallo

I due campi visivi si sovrappongono parzialmente davanti al muso, formando una seconda zona cieca di forma triangolare che si estende per circa 1 metro e per un arco circa di 60 gradi partendo dalla fronte (dalla linea degli occhi) e in direzione del naso (la forma e l’estensione possono essere leggermente diverse da soggetto a soggetto, in funzione della conformazione anatomica e del portamento). In pratica, quando accarezziamo o grattiamo la fronte e la parte compresa fra il naso e la linea degli occhi, il cavallo non può vedere la nostra mano. Quest’area cieca è forse responsabile dell’assur-da credenza che narra di come i cavalli, visto un oggetto con un occhio, non sono in grado di riconoscerlo con l’altro. In realtà se stiamo spazzolando la sua testa e, per andare da un lato all’altro, passiamo davanti alla fronte, è come se scomparissimo, per poi riapparire improvvisamente nel campo visivo dell’altro occhio e ciò potrebbe dare reazioni lievi, come ritrarre la testa (comportamento di evitamento). Anche la comparsa improvvisa di qualcosa o qualcuno in un campo visivo monoculare o nell’altro può innescare movimenti di difesa o di nervosismo. Del resto anche noi avremmo delle reazioni improvvise se qualcosa che non conosciamo ci comparisse a sorpresa nel campo visivo.

In realtà test cognitivi hanno dimostrato con certezza come il cavallo sia in grado di riconoscere forme e oggetti anche diversi fra loro, se li vede prima con un occhio e poi con l’altro. Comunque anche un po’ di sano buon senso sarebbe sufficiente per capire come questa “leggenda” non abbia senso: immaginate un cavallo che, in natura, deve poter guardare un lupo con entrambi gli occhi per poterlo riconoscere?

Più avanti della zona cieca anteriore, i due campi visivi si sovrappongono, dando luogo alla zona della visione binoculare che si estende per un arco di circa 60 gradi sopra il naso del cavallo fino all’infinito. Per completare la descrizione del campo visivo del cavallo dobbiamo dire che è tendenzialmente schiacciato in senso verticale e largo in senso orizzontale, riflettendo la forma della pupilla. Infatti, se guardiamo il suo occhio, possiamo notare che la pupilla non ha forma tondeggiante come la nostra o quella di un cane, ma è allungata ai lati e schiacciata dall’alto verso il basso ed è attraverso di essa che si estende il campo visivo. Questo perché la retina (il tessuto che riveste internamente l’occhio e che permette la percezione delle immagini) ha delle aree orizzontali con un’alta concentrazione di cellule sensibili, che fanno sì che l’area visiva a maggiore definizione sia tendenzialmente schiacciata in senso verticale e panoramica. Questo soddisfa le esigenze visive del cavallo, che ha bisogno di vedere prima possibile un qualsiasi movimento che avviene attorno a lui. Osservando il suo comportamento possiamo notare che, certe volte, quando vuole guardare un oggetto per terra (il classico sacchetto di plastica finito nel paddock), inclina la testa di lato. Così facendo l’immagine dell’oggetto va a cadere, appunto, in questa zona a miglior definizione visiva della retina, cosa che non può accadere se il cavallo mantiene la testa nella posizione normale, pur vedendo comunque il sacchetto. È lo stesso concetto per cui noi, notando qualcosa che ci interessa alla periferia dei nostri occhi, siamo costretti a girarci in quella direzione per poterlo vedere meglio. Questo ci spiega il motivo per cui un cavallo, in certe situazioni, alza improvvisamente la testa o scarta bruscamente in avanti quando un oggetto compare in un punto marginale del suo campo visivo: questi movimenti servono probabilmente a collocare l’oggetto nella zona della retina a miglior definizione visiva, per capire più rapidamente di cosa si tratta. Non dimentichiamoci che, in natura, pochi secondi possono fare la differenza fra vivere e diventare il pasto di un predatore. Così si è sviluppata la convinzione che i cavalli siano animali “paurosi” e “ombrosi”, dai quali bisogna sempre aspettarsi reazioni improvvise e apparentemente immotivate (per noi esseri umani). Immaginate un po’ se dietro ad ogni angolo di strada potesse nascondersi qualcuno che vuole mangiarci: non saremmo tutti un po’ “ombrosi”? Queste caratteristiche anatomiche dell’occhio del cavallo presentano differenze importanti fra razze diverse e anche fra singoli individui, per cui i comportamenti collegati possono presentarsi in maniera leggermente diversa da soggetto a soggetto.

Come cambia il campo visivo del cavallo quando lo montiamo

Il cavallo ottiene una migliore visione del terreno flettendo leggermente la nuca, ed è in questa posizione che tiene la testa quando si muove al passo. Questo movimento è quasi impercettibile, ma si può notare quando muove il primo passo e diventa più evidente quando ha necessità di vedere bene cosa sta davanti ai suoi arti anteriori, per capire se, per esempio, c’è un ostacolo sul terreno e di quale entità esso sia. Con una flessione più accentuata della nuca, tale che la linea del naso sia verticale al terreno o addirittura spostata indietro (cosa che purtroppo avviene in molte discipline sportive nelle quali, per qualche motivo non chiaro, si monta il cavallo “sul morso” per ottenere la cessione dell’incollatura), s’induce un’area di cecità funzionale e il cavallo non può vedere bene il terreno di fronte a lui.
È opinione diffusa, fra appassionati e professionisti, che un cavallo così montato sia più collaborativo, più docile alla mano del cavaliere e più attento alle richieste. In realtà la spiegazione più probabile è che, a causa del deficit visivo che gli creiamo con l’iperflessione dell’incollatura, si renda solo più insicuro e i suoi movimenti diventino più cauti, così da farlo sembrare più docile. La stessa cosa accade a noi quando non riusciamo bene a vedere dove mettiamo i piedi, ci muoviamo con molta più cautela e attenzione. Prima di usare martingale e strumenti simili pertanto, si dovrebbe considerare che queste restrizioni fisiche possono contribuire a limitare la visuale del cavallo e la capacità di condurre se stesso e il cavaliere in maniera sicura sul terreno, sia quello morbido e livellato di un campo gara, sia quello di un sentiero di montagna.

Pertanto, quando un cavallo inciampa, sempre chiedersi, per prima cosa, se ciò non sia dovuto ad azioni delle nostre mani che, limitandone la libertà dell’incollatura, ne hanno ridotto la capacità di vedere bene il terreno circostante. Chi fa trekking sa, o avrà sentito dire, che nei passaggi difficili e su sentieri impervi è importante lasciare le redini lunghe per permettere al cavallo di vedere dove mettere gli zoccoli. Questo concetto, con le dovute differenze, è valido in qualsiasi altra situazione, anche in campo gara, perché portare un cavallo sul salto con una flessione molto accentuata della nuca, oltre ad aumentare la possibilità di errore, può essere anche pericoloso.

La profondità delle cose

La visione del cavallo è prevalentemente monoculare e ciascun occhio vede un campo visivo diverso dall’altro, mentre l’area di visione binoculare è proiettata davanti al muso con un’ampiezza di circa 60 gradi. Quando pascola, tiene la testa a livello del terreno e il campo binoculare, diretto sopra il naso, gli permette di vedere bene l’erba che sta mangiando (questa è forse la vera funzione della visione binoculare nel cavallo). In questa posizione, la visione laterale monoculare, si estende ai lati del corpo e gli permette di esplorare l’orizzonte e tenere sotto controllo ciò che lo circonda, senza dover alzare la testa. Per vedere oggetti lontani con la visione binoculare è invece necessario, per il cavallo, alzare leggermente il naso nella direzione dell’oggetto, per sollevare il campo visivo binoculare e dirigerlo verso l’orizzonte. È con questo movimento che il nostro amico può acquisire informazioni su distanze e profondità delle cose, mentre normalmente la visione monoculare tende ad appiattire un po’ gli oggetti (potete fare delle semplici prove guardando alcuni oggetti, o un panorama, chiudendo un occhio). Anche questo comportamento, di alzare leggermente il naso, si può facilmente notare portando il cavallo sull’ostacolo e lasciandogli libertà nel muovere la testa. Tuttavia anche la visione monoculare permette di valutare le distanze, è solamente meno precisa. Quando il cavallo si prepara a staccare per il salto, può scegliere se inclinare leggermente la testa di lato e usare la visione laterale (monoculare) per avere una visuale d’insieme dell’ostacolo, oppure se sollevare la testa per sfruttare la visione binoculare e valutarne distanza e profondità. L’importante è lasciargli quel minimo di libertà nell’incollatura affinché abbia la possibilità di scegliere come avvicinarsi. Così facendo potrà tenere la testa in posizione naturale e, con lievi spostamenti del muso, cercare la migliore visione dell’ostacolo per valutarne altezza e profondità. Se invece lo costringiamo con l’incollatura troppo flessa e cediamo le redini solo sull’ultima battuta, o non le cediamo per niente, il rischio che non possa vedere e valutare bene l’ostacolo sarà molto alto. E questo, ovviamente, aumenterà il rischio di errori e d’incidenti.

Nei cavalli bradi le attività di pascolo e d’interazione sociale si protraggono, anche se in misura minore, per buona parte della notte: ciò significa che sono in grado di muoversi sul terreno con relativa facilità anche in condizioni di semi oscurità. Del resto anche la nostra esperienza ci insegna come sia possibile camminare, trottare o addirittura galoppare al crepuscolo o sotto la luce della luna; basti pensare a qualche bella passeggiata fatta di notte o alle gare di endurance che spesso partono e arrivano con l’oscurità. La struttura anatomica della retina del cavallo è effettivamente formata per vedere anche in condizioni di scarsissima luminosità, come indicato dalla prevalenza di bastoncelli rispetto ai coni (con un rapporto di 9 a 1). Inoltre, nell’occhio del cavallo, come in quello di quasi tutti i mammiferi (non nel nostro però), c’è una struttura fibrosa riflettente (tapetum lucidum), responsabile della colorazione verde brillante degli occhi degli animali durante la notte quando sono colpiti da un fascio luminoso, che amplifica la quantità di luce che entra all’interno dell’occhio. Grazie a questa peculiarità i cavalli, come quasi tutti gli animali, vedono meglio di noi in condizioni di poca luce. C’è però un rovescio della medaglia: l’accumulo di luce sulla retina, per l’attività di questa struttura riflettente, provoca la perdita dei dettagli e la riduzione della definizione degli oggetti e può creare un deficit visivo momentaneo quando i cavalli devono passare dall’ombra alla luce intensa (è come se l’occhio fosse colpito da un flash).

Viceversa, la velocità di adattamento all’oscurità, provenendo da un ambiente con molta luce, sembra che nei cavalli sia molto più lenta rispetto all’essere umano, cioè avrebbero bisogno di un tempo considerevole (alcuni minuti) affinché il loro occhio si adatti alla visione nell’oscurità. Tutto ciò può provocare dei comportamenti non desiderati, fino a delle vere e proprie difese quando, ad esempio, vogliamo farli entrare in un trailer che è posto contro sole, o in generale ogni volta s’imponga loro di passare da un ambiente con molta luce a uno con poca (o viceversa). Ricordandoci questa carat-teristica, sapremo che i cavalli vedono meglio in un ambiente meno luminoso (con cielo nuvoloso) piuttosto che in condizioni di luce intensa (sole), per cui è probabile che scuderie poco illuminate costituiscano un problema più per noi che loro. Mettere a fuoco. La struttura anatomica del cristallino del cavallo fa sì che non riesca a vedere bene da vicino; infatti, la capacità di messa a fuoco migliore si ha da circa 1 metro davanti al muso fino all’orizzonte. Se però ci riflettiamo, potremo notare che al cavallo una buona vista da vicino non serve. Non deve leggere giornali né scrivere, e comunque la vicinanza degli oggetti ai suoi occhi è limitata dalla lunghezza del muso; per tale ragione gli oggetti vicini sono investigati meglio e in maniera più efficace con l’olfatto e il tatto, che nel cavallo sono “sensi di prossimità”, , perché adibiti all’esplorazione dell’ambiente nelle immediate vicinanze, mentre vista e udito servono a “scannerizzare” l’ambiente lontano. È per questo che i cavalli hanno, invece, un’ottima acutezza visiva a distanza, cioè sono tendenzialmente ipermetropi (come altri animali predati) per percepire prima possibile una sagoma lontana o i sottili movimenti che avvengono ai margini del loro campo visivo, che in natura possono rappresentare un potenziale pericolo.

I colori

Non vi è dubbio che i cavalli vedano i colori. La fattrice riconosce il proprio puledro da una certa distanza con la vista. Tuttavia, non sappiamo di preciso come li vedano. Sappiamo che sono dicromatici, come la quasi totalità dei mammiferi (eccetto l’essere umano e alcune scimmie), cioè vedono solo due dei tre colori fondamentali. Mentre noi umani vediamo una vasta gamma di colori data dalla combinazione di rosso, blu e giallo, nei cavalli la gamma di colori è data dalla sola combinazione di due fra questi tre colori: in pratica sono daltonici. Gli studi più recenti indicano come, probabilmente, vedano i colori in una scala di tonalità che va dal giallo al blu passando, con qualche difficoltà, per il verde, mentre non sarebbero in grado di distinguere accuratamente il rosso dal grigio; tuttavia non ne abbiamo la certezza. Forse l’intensità della luce influisce sulla percezione dei colori e forse ci sono differenze individuali, quindi alcuni cavalli potrebbero vedere il rosso e non il giallo, o viceversa. Quello che è certo è che percepiscono bene il contrasto evidente fra colori, e chi pratica salto sa che gli ostacoli più difficili da affrontare sono quelli con una colorazione uniforme perché il cavallo li distingue male dal resto dell’am-biente, e che, per contro, ostacoli con molti colori in contrasto gli risultano più evi-denti. I cavalli, come abbiamo detto, hanno un occhio grande con un’ampia pupilla. Questa conformazione è particolarmente utile nel catturare la luce riflessa dentro il bulbo oculare, che è amplificata dal tapetum lucidum. Cioè, l’occhio del cavallo è strutturato per lavorare al meglio in condizioni di scarsa luminosità, permettendo un aumento sommatorio del segnale luminoso, senza perdere informazioni sulla risoluzione spaziale. Con questa conformazione la percezione dei colori è probabilmente secondaria e sarebbe funzionale solo durante il giorno, al tramonto e all’alba.

Mentre nella notte, al chiaro di luna o delle stelle in quella che è chiamata “visione scotopica”, è probabile che il cavallo perda la percezione dei colori, mantenendo però una notevole capacità di rilevare movimenti e forme. Anche in questo caso ci sarebbe una spiegazione di tipo evolutivo piuttosto semplice; cos’è più importante? Vedere il colore di un lupo o vederne la sagoma e i movimenti nell’oscurità? Insomma, per riassumere, i cavalli vedono molto più di noi in termini di quantità d’informazioni visive che sono in grado di raccogliere dall’ambiente esterno, ma vedono peggio dal punto di vista qualitativo, cioè della definizione dei contorni, della messa a fuoco e della capacità di distinguere i colori, soprattutto da vicino.

 

L’UDITO

Com’è logico aspettarsi, nei cavalli l’udito è molto sviluppato. Chiunque avrà notato con quale e quanta facilità le orecchie si muovano, insieme o indipendentemente l’una dall’altra, grazie a una decina di piccoli muscoli. Ciascun padiglione auricolare si muove ruotando su un arco laterale di circa 180 gradi, permettendo così al cavallo un’ottima esplorazione dell’ambiente, alla ricerca di ogni possibile rumore. Questa capacità di esplorazione acustica, praticamente a 360 gradi, dell’ambiente, non è però accompagnata da una buona capacità di localizzazione della fonte di suoni o rumori. In pratica i cavalli hanno un deficit di localizzazione del suono, rispetto a noi o a predatori come il cane o il gatto, e possono localizzare l’origine di un suono solo con un’approssimazione di circa +25 gradi rispetto al punto di origine. Forse questo può sembrare strano, ma anche questa volta, se ci riflettiamo un attimo, non lo è. Vi ricordate cosa abbiamo detto a proposito della vista? Al cavallo non serve vedere bene una possibile minaccia, ma gli è indispensabile vederla prima possibile. Ebbene, ciò vale anche per l’udito: non importa, infatti, capire da quale punto preciso arriva il rumore, ma è fondamentale sentirlo prima possibile.

Rispetto però ad animali predatori e a noi umani, il cavallo ha un udito costruito per sentire anche suoni molto deboli e gli studi sulla percezione uditiva del nitrito hanno dimostrato che riesce a percepire il richiamo dei suoi simili da distanze superiori ai 4 km. Inoltre, i cavalli hanno migliori capacità di discriminazione fra suoni che hanno intensità simili, cioè sono in grado di distinguere fra due suoni che, per la loro frequenza, a noi sembrano uguali.

Il range umano dell’udito è compreso fra 20 Hz e 20 kHz, mentre quello del cavallo è compreso fra 55 Hz e 33,5 kHz, con un intervallo di maggiore sensibilità compreso fra 1 e 16 kHz, il più ampio fra tutti i mammiferi terrestri. Questo intervallo di frequenza del cavallo copre molto bene la voce umana, e per questo non sarebbe necessario, dal punto di vista “uditivo”, usare strumenti come il fischio o il clicker per il suo addestramento. Il cavallo può pertanto udire suoni ad alta frequenza (ultrasuoni) che noi non possiamo percepire, ma non può udire alcuni suoni a bassa frequenza che invece noi siamo in grado di sentire. Forse qualcuno avrà sentito dire che i cavalli sono più nervosi quando c’è vento; questo è, in realtà, parzialmente vero e alla base c’è un motivo preciso: il vento conduce più facilmente suoni e odori, ma nello stesso tempo rende più difficile localizzarne la fonte e riuscire a distinguerli. In tal modo il cavallo, un animale predato che già fisiologicamente ha una ridotta capacità di localizzazione del suono, con il vento è in una condizione di attivazione del sistema nervoso simpatico, diciamo è più allertato, più “sul chi vive”, perché si trova in una situazione di difficoltà percettiva e il suo organismo cerca di concentrarsi per capire meglio il tipo e la provenienza dei suoni. E ricordiamoci inoltre che molti di questi suoni e rumori noi non possiamo sentirli. Non ci stancheremo mai di ripetere che questo sistema di percepire l’ambiente ha importanti ripercussioni pratiche, perché un cavallo può spaventarsi apparentemente senza motivo, mentre in realtà i suoi sensi lo mettono in allerta perché ha percepito un suono o visto qualcosa che noi invece non siamo in grado di vedere o sentire. Una considerazione indicativa delle differenze percettive fra noi e il cavallo è che, quando presta attenzione a qualcosa, inarca il collo e drizza le orecchie, alla persona che gli è accanto viene quasi spontaneo girarsi e dirigere lo sguardo nella direzione dove sono puntate le sue orecchie, alla ricerca (visiva) di ciò che ha generato questa reazione.

Ebbene è molto probabile che l’attenzione del cavallo sia attratta da un rumore (o un movimento) che non possiamo percepire in alcun modo. Una delle regole che si apprendono quando si entra in contatto per la prima volta con il cavallo è, giustamente, di fare attenzione a quando “schiaccia” le orecchie indietro, perché questo comportamento è segno di minaccia. Forse, sarebbe ugualmente corretto sapere che le orecchie sono importanti perché la loro direzione ci segnala dov’è focalizzata la sua attenzione non solo quando sono rivolte entrambe nella stessa direzione, perché anche il movimento di un solo orecchio ci aiuta a capire a cosa il cavallo sta prestando attenzione.

Potrebbe essere interessante fare questo piccolo esercizio pratico. Quando montiamo un cavallo che non conosciamo (possiamo farlo anche con cavalli che si conoscono), proviamo a fare caso a quando diamo un comando con la redine. Potremo notare che certe volte, nel momento di azione della mano, il cavallo muove verso di noi l’orecchio corrispondente (il sinistro per una volta a mano sinistra o viceversa). Ebbene, ci sta “dicendo” che presta attenzione alla nostra richiesta, al nostro comando. Ciò è molto importante nel meccanismo di apprendimento perché, se cambia qualcosa nel nostro modo di dare quel comando, anche qualcosa di piccolo come una diversa tensione della redine o pressione della gamba, il cavallo può percepire tale cambiamento come un segnale diverso e ha quindi bisogno di capire, prestandovi attenzione più del solito, cosa stiamo chiedendo. Noi, che stiamo montando e notiamo questo comportamento, abbiamo l’obbligo di chiederci se i segnali che gli abbiamo inviato sono adeguati e coerenti con ciò che gli è stato insegnato. Questo per dire che la direzione in cui sono puntate le orecchie aiuta a capire dove è focalizzata l’attenzione del cavallo, e questo va inteso non solo in termini negativi.

All’aperto i cavalli sembrano in grado di usare la posizione del corpo per localizzare un suono: un’ipotesi plausibile, in quanto, posizionando il proprio corpo in maniera adeguata, sarebbero in grado di amplificare i suoni facendoli rimbalzare sulla loro spalla, per farli giungere amplificati al padiglione auricolare dello stesso lato. Per tanto, quando un cavallo “scarta”, è probabile che stia disponendo il suo corpo per consentire alla vista e all’udito di funzionare al meglio e permettergli così di capire se c’è un pericolo in giro. In questo caso sta solo facendo ciò che la natura gli ha insegnato e punirlo non serve a niente, anzi è dannoso, perché punire questi comporta-menti, significa inibire la sua capacità di prestare attenzione all’ambiente, cosa che è, in linea generale, da evitare. Siamo noi a dover fare un piccolo sforzo per capire meglio i suoi comportamenti e far sì che si senta sicuro standoci accanto.

L’OLFATTO

Chi non è mai stato annusato accuratamente da un cavallo alzi la mano. È praticamente impossibile che ciò non accada e per una ragione molto semplice: i cavalli familiarizzano con gli oggetti, sconosciuti e non, nelle loro immediate vicinanze esplorandoli, annusandoli e toccandoli.

La lunghezza del naso dei cavalli indica che hanno un’ampia mucosa olfattiva (che è il luogo deputato alla percezione degli odori). Questa caratteristica, e il fatto che nel sistema nervoso centrale il bulbo olfattivo sia molto più sviluppato che nell’essere umano, ci dice che gli odori e la loro valutazione hanno un posto molto importante nella percezione dell’ambiente. La particolare conformazione anatomica delle narici (che sono distanziate fra loro e non sono rigide come quelle del cane), la lunghezza delle cavità nasali e l’enorme flusso di aria immesso durante la respirazione forniscono al cavallo la possibilità di odorare l’aria in maniera quasi stereoscopica, attorno all’oggetto o al soggetto che vogliono esplorare.

In aggiunta al normale sistema olfattivo, nel cavallo l’organo vomero-nasale (OVN) è molto sviluppato ed è usato per rilevare ferormoni nelle urine e per valutare altri odori giudicati strani, che perciò hanno bisogno di un’analisi accurata. Il cavallo usa il suo OVN durante il flehmen (talvolta etichettato come “sorriso”) in cui alza la testa e rivolge all’indietro il labbro superiore. In tal modo immette aria con l’odore da analizzare attraverso un’apertura nelle cavità nasali fino all’OVN. Questo comportamento si può facilmente notare quando investiga le urine o le feci di un suo simile o quando lo stallone annusa una cavalla in calore, ma si può vedere anche quando incontra nuovi odori (come per esempio il deodorante di una per-sona) e sostanze potenzialmente irritanti. Diversamente da altre specie, l’OVN del cavallo non si apre nella cavità orale. Infatti, invece di esibire il flehmen solo dopo il contatto delle labbra o della lingua con la sostanza odorosa da indagare (come fa il cane), i cavalli sono l’unica specie che può esibirlo in risposta a sostanze trasportate nell’aria. Il flehmen è un segnale per gli altri cavalli ed ha un ruolo importante nella vita sociale, nell’investigazione sessuale, nel corteggiamento e nel riconoscimento dei conspecifici.

L’olfatto è, infatti, usato nel riconoscimento individuale fra cavalli e fra essi e le persone che li accudiscono, oltre che ovviamente per riconoscere gli oggetti. Capita spesso di vedere un cavallo che, mentre è sellato, prova ad annusare sella e finimenti, così come è facile notare che annusa spazzole, coperte e tutta una serie di oggetti familiari (per riconoscerli) o non familiari (per sentire la presenza di un altro cavallo o per capire cosa sono). È molto probabile che così facendo cerchi di riconoscere il proprio odore su quegli oggetti per avere la conferma che si tratta di oggetti familiari (ricordiamoci che da vicino i cavalli non vedono bene). Tutto ciò riveste un ruolo importante nell’acquisire sicurezza e serenità rispetto all’ambiente e le persone. Un altro dettaglio, infatti, può riguardare l’odore che ci portiamo dietro, per esempio con le scarpe. Se accarezziamo un cavallo sconosciuto o ne calpestiamo le feci e poi entriamo nel box del nostro amico, questi potrebbe percepirne l’odore e quindi diventare nervoso.

IL TATTO

La sensibilità tattile varia nelle diverse regioni del corpo del cavallo: il garrese, la bocca, i fianchi e la regione del gomito sono le aree più sensibili, zone queste con cui siamo più in contatto quando lo montiamo. Il garrese, sul quale la sella non dovrebbe poggiare, la bocca e il muso che portano l’imboccatura, la cavezza o le briglie fuori- bocca, i fianchi dove agiscono le gambe (spesso con gli speroni) e la zona immediatamente dietro la regione del gomito, dove facciamo passare il sottopancia. Oggi sappiamo che queste zone del corpo del cavallo e in particolare l’area ai lati del torace (cioè l’area che normalmente è a contatto con la gamba del cavaliere) hanno una sensibilità tattile che è superiore a quella del polpaccio e dei polpastrelli delle nostre dita. Ciò ovviamente aumenta la possibilità che il cavaliere dia al cavallo, anche senza volerlo, pressioni e segnali tattili che non hanno significato dal punto di vista della comunicazione e ai quali il cavallo può rispondere in un modo che non ci aspettiamo, o può assuefarsi. Se queste sono le aree più sensibili, si dovrebbe prestare molta attenzione quando si agisce su di esse, per non creare problemi alla comunicazione.

Purtroppo spesso accade che le aree più sensibili, sovra stimolate dalle pressioni che scaturiscono dalle nostre azioni, col tempo riducano la loro sensibilità (è un meccanismo naturale di difesa che s’instaura per diminuire la percezione del fastidio) e la conseguenza è che sarà necessario aumentare le pressioni, cioè gli stimoli impiegati per trasmettere un segnale. Il risultato è che il cavallo può divenire sempre più insensibile alla nostra azione oppure, quando si supera la soglia del dolore, può manifestare direttamente comportamenti di difesa. Quando il cavallo pascola, capita che il ciuffo d’erba scelto venga vía dal terreno con radici e terra attaccate: in questo caso lui riesce con la bocca, con cura e maestria, a separare gli steli di erba dalle radici e dalla terra. Questi comportamenti dovrebbero farci riflettere sul fatto che, quando lo montiamo, con un morso o un filetto che sia, applichiamo una pressione su una parte estremamente sensibile e importante.

Per quanto riguarda il tatto, inoltre, dobbiamo sottolineare che negli animali in branco è importante che ciascun membro sia sensibile alla presenza dei suoi simili nelle immediate vicinanze, soprattutto quando sono fisicamente in contatto. Questo può aiutarli a muoversi come gruppo coeso in caso di pericolo e aiuta a iniziare e favorire le sedute di mutual grooming, socialmente molto importanti. In particolare la stimolazione tattile che i cavalli si scambiano con il mutual grooming produce sensazioni piacevoli e ha effetto rilassante. Del resto, a chi non piacciono le carezze e i “grattini”, soprattutto in certe zone del corpo? Tuttavia la sensibilità tattile va oltre il semplice contatto fisico con oggetti o altri cavalli Le vibrisse sono quei peli lunghi e spessi attorno agli occhi e al muso e sono peli tatili, estremamente sensibili. A ciascuno di essi corrisponde un’area ben precisa nel cervello. L’apparente crescita disorganizzata di questi peli sul muso dei puledri neonati si pensa sia finalizzata a facilitare la localizzazione dei capezzoli della madre. Le vibrisse informano il cavallo della sua distanza da una determinata superficie e possono servire anche a rilevare alcuni tipi di suono. Insieme alle labbra, le vibrisse raccolgono informazioni tattili durante il pascolamento e durante lo sfregamento della testa. Grazie ad esse i cavalli sono in grado di sentire la recinzione elettrica prima di toccarla, evitando così la scarica. Uno studio ha dimostrato che il taglio delle vibrisse aumenta la possibilità di ferite e contusioni sul muso durante il trasporto e grazie a questo studio, alcuni paesi ne hanno vietato il taglio in tutti gli animali. Nel nostro paese, purtroppo, è ancora frequente vedere cavalli da competizione con il muso rasato.

IL GUSTO

Il gusto, come l’olfatto, è il risultato di un’interazione chimica tramite i recettori posti sulla mucosa della cavità orale, localizzati quasi tutti sulla lingua. La sensazione del gusto percepita dal cavallo si presume che possa essere una gradazione di salato, acido, dolce e amaro, più o meno come la nostra, anche se non ci sono informazioni scientifiche precise.

Il gusto è importante negli scambi sociali: quando due cavalli eseguono il mutual grooming è come se si stessero “assaggiando” a vicenda e questo ne facilita il riconoscimento individuale. Il gusto inoltre aiuta i cavalli a determinare il potere calorico degli alimenti e, più in generale, a fornire informazioni nutrizionali. Per esempio, se la dieta di un cavallo è povera di sodio, egli è in grado di selezionare un foraggio con alto contenuto di sale, piuttosto che un altro. Attraverso il gusto, il cavallo riesce a differenziare i cibi, a esercitarsi alla loro preferenza (imparando a evitare alimenti che possono dar luogo a disturbi) e ad acquisire informazioni circa la tossicità delle essenze vegetali. Ed è sempre attraverso il gusto che il cavallo in natura sceglie l’alimento, in base al proprio fabbisogno energetico.

Per terminare questo articolo possiamo dire che la vista è molto importante per il cavallo nella percezione dell’ambiente ed è anche il senso più studiato, di cui si conoscono meglio le caratteristiche. Tuttavia sarebbe un grave errore pensare che la vista sia un fattore a sé rispetto agli altri sensi. La vista, l’udito, l’olfatto, il tatto e il gusto lavorano insieme per dare ai cavalli la giusta percezione dell’ambiente che li circonda, sia da vicino che da lontano. È un lavoro di squadra, all’interno del quale i diversi sensi si sono evoluti e integrati nei millenni e hanno contribuito a far si che il cavallo non solo sia arrivato fino ai giorni nostri, ma ci abbia anche accompagnato nel nostro progresso. È però di fatto impossibile immedesimarsi nel suo mondo sensoriale, né possiamo pensare che i cavalli ascoltino, vedano o odorino come facciamo noi.

Per questo commettiamo un grave errore di valutazione ogniqualvolta gli attribuiamo capacità sensoriali e intellettive uguali alle nostre. Quello che dobbiamo fare è conoscerli, conoscere le regole psicologiche con cui funziona la loro mente, che sono le stesse delle altre specie animali. Inoltre, conoscere il perché si comportino in una certa maniera piuttosto che in un’altra, permetterà di creare una comunicazione bidirezionale (che usa linguaggi diversi) efficiente per insegnare loro che da noi non hanno niente da temere. Per esempio, per quanto riguarda gli aspetti “visivi”, in una bella giornata di sole dobbiamo convincere il nostro amico (non con le chiacchiere) che siamo il suo “cane guida”, mentre per quanto riguarda suoni e rumori ad alta frequenza dobbiamo imparare noi a far sì che il cavallo sia il nostro apparecchio acustico.

Nel mondo degli odori, dobbiamo accettare la superiorità del suo olfatto e sapere che sente molto meglio di noi se qualcuno ha cambiato bagno schiuma o deodorante, ed evitare odori che lo infastidiscono o lo agitano. E, soprattutto, dobbiamo rispettarne l’elevata sensibilità tattile, non trascurando che a essa è associata una forza fisica alquanto superiore alla nostra, che possiamo gestire con dei segnali tattili che devono essere comprensibili per il cavallo ed educati (cioè non provocare dolore o fastidio eccessivo). Come potete immaginare tutto ciò non è facile, ma se ci poniamo nelle condizioni di saper “ascoltare” e “conoscere” nella maniera corretta il nostro cavallo, saremo in grado di fare notevoli passi avanti.

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